Pagina: “Economia”

Discussioni della pagina

In questa pagina sono aperte, al momento, sei discussioni.   Per postare commenti/domande/risposte cliccare sul titolo delle discussioni - in questo riquadro o nel resto della schermata (titoli in grassetto e in rosso) - e questo aprirà i riquadri per i nuovi contributi.

   La BCE 
   Next Generation EU - Dispositivo per la ripresa e la resilienza (PNRR)
   Meccanismo europeo di stabilità (MES)
   Euro. Organizzazione dell'eurozona (regole per i bilanci pubblici ed altro).
   Congiuntura economica in Italia e nei paesi UE - Politica economica.
   Il bilancio dell'Unione europea

Le sottopaginee "Materiali" e "Grafici" di questa pagina conterranno informazioni e dati che possono essere utili alle discussioni.

In questa pagina ospiteremo discussioni su temi economici come le regole di bilancio, i meccanismi di gestione dell'unione monetaria europea, la politica economica dei vari paesi europei, le decisioni della BCE, il PNRR, l'eventuale creazione di nuovi meccanismi di spesa a livello comunitario ed anche problemi relativi al bilancio dell'UE.

Altre discussioni potranno essere aperte per rispondere a nuovi sviluppi o agli interessi dei partecipanti

(il riquadro dove inserire i nuovi commenti si trova subito dopo il testo introduttivo)

In questa discussione parleremo del funzionamento dell'Unione monetaria europea e dell'organizzazione che ci siamo dati per il suo funzionamento: coordinamento delle politiche economiche, integrazione dei mercati dei capitali, sorveglianza bancaria e regole di bilancio (Patto di stabilità).

La cosa più urgente da discutere sono le proposte che la Commissione ha presentato il 26 aprile 2023 per una riforma del Patto di stabilità.    Questo "patto" è attualmente sospeso e, salvo decisione contraria (modifica delle regole attuali o estensione del periodo di sospensione), rientrerà in vigore automaticamente il primo gennaio 2024.

Qui di seguito riportiamo i link ad alcuni contributi sulle recenti proposte di modifica della Commissione europea.

"Nuovo Patto di Stabilità: cosa cambia" ISPI novembre 2022

"Europa: ecco le nuove regole fiscali" di Massimo Bordignon su La Voce Novembre 2022

"Troppa Commissione nella riforma del Patto di stabilità" di Stefano Micossi su La Voce il 29 marzo 2023

Improving the EU's economic governance framework (briefing dell'ufficio studi del Parlamento europeo - Aprile 2023)

Un ulteriore commento di Massimo Bordignon e Giuseppe Pisauro - 16 maggio 2023

Un commento di Lorenzo Bini Smaghi - 19 maggio 2023

Un altro tema molto importante di cui parlare è la prossima introduzione del cosiddettto "euro digitale", ossia della possibilità per cittadini e imprese di avere un conto presso la BCE (direttamente o indirettamente).

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Risposte

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  • https://24plus.ilsole24ore.com/art/euro-sfida-riuscita-ma-ancora-in...

    Euro, una sfida riuscita ma ancora incompleta

    di Marco Buti e Giancarlo Corsetti

    Il 25esimo anniversario dell’euro, il più grande esperimento monetario dell’era moderna, è un buon momento per trarre un bilancio. Alla sua nascita, le previsioni degli economisti erano polarizzate. Molti, prevalentemente anglosassoni, esprimevano dubbi, arrivando financo a sostenere che la moneta unica avrebbe generato una guerra fra gli Stati membri (Martin Feldstein). All’estremo opposto, la narrazione ufficiale si spingeva a prospettare un futuro radioso assicurato dalla stabilità monetaria e fiscale e dalle riforme strutturali che sarebbero state adottate dagli stati membri. C’era tuttavia diffusa consapevolezza che l’architettura dell’euro, con il braccio economico sottosviluppato rispetto a quello monetario, era incompleta, ma a questo si opponeva che cercare di affrontare tutti i nodi prima del lancio della moneta unica avrebbe rischiato di far deragliare il progetto. Nei primi 25 anni, gli scenari estremi non si sono avverati. L’euro ha mostrato una straordinaria resilienza, affrontando momenti critici, ma ha anche deluso chi si attendeva l’effetto congiunto di un aumento della crescita potenziale e di un balzo in avanti verso l’unione politica dell’Europa.

    Come articolato in un nostro articolo di prossima pubblicazione, un bilancio dell’area euro (Ea) è al meglio discusso dividendo i primi 25 anni in quattro fasi, corrispondenti al primo decennio, dal 1999 al 2008; la crisi dal 2008 al 2019; il test della pandemia 2020-21; e la battaglia contro l’inflazione dal 2022 ai giorni nostri. I principali indicatori economici di queste quattro fasi sono riassunti nella tabella in questa pagina.

    La prima fase è il “decennio del 2%”: crescita, inflazione e deficit di bilancio sono in media prossimi al 2 per cento. È il periodo della “grande moderazione” e dell’eccesso di ottimismo che porta a una sistematica sottovalutazione dei rischi macro e micro, nell’economia europea come nell’economia mondiale. È in questi anni che, sotto la cenere, si accumulano gli squilibri che perseguiteranno l’area euro negli anni a venire. Il bonus della convergenza dei tassi d’interesse, con gli spread azzerati, abbellisce i conti pubblici e conduce ad una riduzione dei deficit nei Paesi vulnerabili; condizioni fiscali e monetarie accomodanti favoriscono la crescita, riducendo quindi la pressione ad adottare riforme strutturali e allontanano l’urgenza di rafforzare il sistema bancario. La convergenza nominale nasconde però la divergenza strutturale: i capitali all’interno dell’eurozona affluiscono sì verso i Paesi meno ricchi, ma finiscono nei settori sbagliati (l’immobiliare e i servizi non produttivi) e attraverso lo strumento sbagliato (i crediti bancari a breve). Mentre il saldo del conto corrente è in pareggio per l’eurozona nel suo insieme, è in netto squilibrio all’interno dell’area.

    La grande crisi finanziaria porta alla luce questi squilibri. Le divergenze fiscali e strutturali minano la fiducia fra i Paesi membri impedendo una risposta pronta ed efficace alla crisi. Prevale il paradigma dell’azzardo morale (rinfocolato dall’origine della crisi, a seguito della pubblicazione dei veri conti pubblici greci) e il principio di “far pulizia davanti a casa propria”. Quindi l’Ue interviene solo come “ultima ratio”, dopo che tutti i mezzi a livello nazionale sono stati esauriti. Con questa logica, la creazione del Mes e il lancio dell’Unione bancaria nel 2012 arrivano con sostanziale ritardo. È solo dopo il “Whatever it takes” di Mario Draghi nel luglio 2012 che questi rischi recedono e l’eurozona può tornare a un sentiero di crescita, ma ineguale e frammentato tra Paesi. Il risultato è tuttavia un sovraccarico della politica monetaria che, in Europa più che altrove, diventa “l’unico gioco in città”. Con la forte correzione dei Paesi in crisi, il saldo esterno dell’EA sale al 2 percento del Pil.

    La risposta alla crisi pandemica dell’inizio 2020 è totalmente diversa. Giocano gli insegnamenti della gestione della crisi dei debiti sovrani ma, soprattutto, la “coincidenza benigna” data dalla natura esogena della crisi e l’assenza di appuntamenti elettorali all’orizzonte. Questo permette ai leader dell’Ue di agire con meno vincoli interni: il risultato è la sospensione del Patto di stabilità e crescita, Sure, Ngeu e il Pandemic emergency purchase programme della Bce. I livelli europeo e nazionale si muovono nella stessa direzione. L’economia rimbalza e i mercati, che cercavano la rassicurazione di una leadership collettiva, rispondono favorevolmente.

    Il forte stimolo macroeconomico e la rottura delle catene del valore durante il lockdown creano le condizioni per una fiammata inflazionistica. Il detonatore è la crisi energetica seguita alla guerra di aggressione della Russia. Mentre il coordinamento europeo per ridurre la dipendenza dal gas russo funziona, manca una risposta europea nello spirito di Ngeu. Il compito di affrontare l’inflazione da luogo alla più forte stretta monetaria dagli anni ’80. È storia di oggi il forte rallentamento della dinamica dei prezzi, al costo tuttavia di una minore crescita.

    Che cosa ci insegna la storia dei primi 25 anni dell’euro per l’agenda di policy europea? Primo, è molto rischioso lasciare l’architettura dell’eurozona incompleta, sperando in un “colpo di reni politico” alla prossima crisi. La risposta alla pandemia è stata favorita da circostanze favorevoli ma non c’è alcuna garanzia che alla prossima crisi l’Ue trovi la coesione necessaria per una risposta efficace (l’accordo subottimale sulla riforma delle regole fiscali sta lì a dimostrarlo). Perché attendere un’altra crisi per completare l’unione bancaria con un fondo di risoluzione credibile (qui è grave la mancata ratifica del trattato del Mes da parte dell’Italia) e un’assicurazione comune dei depositi, entrambi elementi chiave per la stabilità, integrazione e sviluppo del sistema finanziario europeo? A fronte delle sfide della doppia transizione verde e digitale, va superato lo stallo sull’Unione dei mercati dei capitali.

    Secondo, e più importante, completare l’architettura dell’area euro è necessario per salvaguardare – e sviluppare ulteriormente - il bene più prezioso dell’integrazione economica europea: il Mercato unico. Una politica industriale centrale basata sull’offerta di Beni pubblici europei, rilancerebbe la competitività dell’economia europea, evitando il prevalere di politiche industriali nazionali finanziate da aiuti di stato che inevitabilmente frammenterebbero il Mercato unico.

    Kohl, Mitterand e Delors risposero alla chiamata della storia dopo la caduta del Muro di Berlino. Macron, Merkel e von der Leyen seppero attraversare linee rosse durante la crisi pandemica. Chi sono oggi i campioni della sovranità europea a 25 anni dalla creazione dell’euro?

    Euro, una sfida riuscita ma ancora incompleta
    Il 25esimo anniversario dell’euro, il più grande esperimento monetario dell’era moderna, è un buon momento per trarre un bilancio. Alla sua nascita,…
  • Posto le opinioni di Pier Carlo Padoan sul Patto di Stabilità e sul MES.

    https://www.repubblica.it/economia/2023/12/26/news/padoan_il_no_al_...

    Intervista all’ex ministro dell’Economia: “Il dibattito sul salva-Stati è sempre stato influenzato da forzature ideologiche travisamenti e speculazioni. Sono disponibile ad essere ancora il presidente di Unicredit, ma la decisione spetta agli azionisti”

    «Per l’Italia, nel complesso il nuovo Patto di stabilità non è .... Quindi non ha senso dire che il voto contrario sul Mes sia stato una ritorsione: il problema è che il dibattito sul Mes era già nato male ed è via via proseguito su un sentiero sbagliato fino a perdere qualsiasi contatto con i veri motivi per cui il Fondo salva-Stati è nato».

    Pier Carlo Padoan, già docente alla Sapienza, poi capo economista dell’Ocse, quindi ministro dell’Economia con i governi Renzi e Gentiloni, oggi presidente di Unicredit, dalla sua lunga esperienza ricava elementi di ottimismo: di fronte all’uno-due prenatalizio, fra Patto e Mes, non c’è motivo di recriminare. «In questa fase, la fiducia dei mercati si coniuga con quella delle imprese, che hanno dimostrato una rimarchevole resilienza di fronte alla stretta creditizia, e ci sono le premesse per una forte ripresa della crescita. E poi l’inflazione sta calando più rapidamente di...».

    Sul Patto di Stabilità l’opinione pubblica è divisa: chi parla di “fregatura” e chi di “ottimo accordo”. Chi ha ragione?
    «Ci sono alcuni elementi contrari, però alla fine il Patto, malgrado tutte le modifiche che sono state fatte rispetto al testo proposto dalla Commissione in primavera, è migliorativo. Soprattutto per un motivo di fondo, al di là delle singole misure: si è salvato, anzi viene valorizzato, lo spirito collaborativo dell’Europa che aveva portato al NextGenEU».

    Per il ruolo di primo piano che assume la Commissione? Qualcuno dice che siamo sotto tutela.
    «Macché. L’approccio, il metodo, è quello giusto. La Commissione vigila e monitorizza ogni passo nell’implementazione del Patto, è vero, ma lo fa con lo spirito di voler dire: se hai difficoltà, se hai bisogno di soldi per investimenti aggiuntivi, parliamone, probabilmente possiamo venirti incontro. È stata introdotta la flessibilità intelligente. Alcuni residui di rigidità rimangono, però di base l’obiettivo è stato rafforzato, ed è la crescita: l’Europa c’è. Ovviamente, condizione necessaria è la collaborazione dei singoli governi e degli apparati statali, ma ci si rende conto che la crescita non è un cammino lineare, può andare avanti a strappi e conoscere delle pause, l’importante è la traiettoria virtuosa».

    È sicuro che i mercati sapranno riconoscere questa virtù?
    «I mercati sono il terzo attore, insieme a governi e Commissione. Se gli ultimi due sapranno procedere con decisione e forza, i mercati non riusciranno ad opporsi. È una generale chiamata di responsabilità. Proprio qui sta la forza della minor rigidità del nuovo Patto: ora le regole possono, e debbono, essere rispettate davvero. Sono meno stringenti, a volte discutibili, ma sono regole con la R maiuscola. Altrimenti si perde credibilità e ci si espone alla speculazione».

    Che tipo di messaggio arriva invece dal no al Mes?
    «Il dibattito sul Mes va avanti praticamente da quando è nato, ed è sempre stato esposto a forzature ideologiche, a travisamenti, a speculazioni. Il tutto annacquato da questioni meramente politiche e sempre più lontane dalla logica economica. In Italia in particolare si parla quasi sempre del Mes in modo strumentale, al di fuori della logica finanziaria».

    L’Europa si sta organizzando per permettere l’unione bancaria e rilanciare il discorso comune

    Ma ora che ne sarà del fondo di risoluzione bancario?
    «L’Europa si sta già organizzando per bypassare quest’impasse e trovare nuovi strumenti per finanziare il fondo di assicurazione dei depositi e quindi permettere l’unione bancaria, essa sì necessaria per rilanciare il discorso comune. C’è poco da discutere: quando hai una crisi finanziaria hai bisogno di due cassette degli attrezzi. Una per tamponare l’emergenza e l’altra per rimettere a posto i bilanci. L’Europa continua a lavorare perché esistano entrambe».

    Le banche centrali hanno spinto troppo sul freno? Che tempi di recupero prevede?
    «La vicenda dell’inflazione, che sta scendendo con inattesa rapidità in tutto il mondo, dimostra che è diventato, anche per gli economisti più esperti, quasi impossibile fare previsioni affidabili. Le banche centrali, come hanno ammesso loro stesse, hanno sottovalutato l’inflazione, poi hanno agito probabilmente troppo in fretta, ora si preparano ai ribassi. In che tempi? Alla luce di quanto le dicevo, è impossibile prevederlo».

    Padoan: “Il no al Mes scelta senza logica. Ma il Patto di Stabilità aiuterà la crescita”
    Intervista all’ex ministro dell’Economia: “Il dibattito sul salva-Stati è sempre stato influenzato da forzature ideologiche travisamenti e speculazio…
  • Il contributo di Marco contiene molte osservazioni giuste.   Ma il problema è che la riduzione del nostro debito pubblico è un nostro interesse primario.

    Siamo in una situazione dove il governo italiano - a parità di altre spese - deve chiedere ai contribuenti italiani maggiori tasse per tre punti di PIL rispetto a quelle che chiede il governo tedesco solo per pagare gli interessi sul debito pubblico.   Nel 2022 l'Italia ha pagato interessi sul debito pubblico per una cifra pari al 3.5 per cento del PIL; la Spagna al 2.1 per cento; la Francia all'1.4 per cento e la Germania allo 0.5 per cento.

    Per ridurre il peso del nostro debito pubblico ci sono solo due strade:

    a) avere un po' più di crescita economica e

    b) fare meno nuovi debiti ogni anno (ridurre i disavanzi).

     

  • Mario Draghi sostiene che si dovrebbe procedere a una revisione dei trattati  che conduca a una federalizzazione di certe spese di investimento strategiche , rinforzando alla stesso tempo i vincoli fiscali sugli Stati Membri e considera inadeguata una soluzione che allenti o renda più flessibili i vincoli sugli aiuti di Stato e sulle politiche di bilancio.

    Purtroppo, non mi sembra che esistano le condizioni politiche per una revisione dei trattati quindi la seconda strada é l’unica percorribile, essendo tuttavia coscienti ché e subottimale e che rischia di accrescere le differenza tra Stati Membri.

    E’ in ogni caso la strada che la Commissione ha scelto (ma non aveva alternative) di percorrere.

    Per i paesi ad alto debito che rappresentano piu del 50% del PIL dell’UE si andrebbe dunque verso dei piani pluriannuali di riduzione del debito. La stupidità delle regole  (in particolare l’effetto violentemente deflattivo del limite del 3% al deficit) verrebbe  inquadrata e presumibilmente ridotta da un definizione concordata di un percorso con vincoli ed obiettivi negoziati tra la Commissione e lo s Stato Membro.

    L’interesse dell’italia è ottenere un massimo di flessibilità delle regole e di battersi per ottenere una mutualizzazione della spesa  di investimento su beni pubblici europei.  Ed è questa linea cha a mio parere il Pd dovrebbe seguire.

    Si tratta essenzialmente di evitare che lil vincolo del 3%  si abbatta come una scure sugli investimenti essenziali per la crescita, per la difesa dell’ambiente, per il rinnovo di infrastrutture fatiscenti,  per la lotta alla povertà e all’esclusione, per i’ accesso ai sevizi sanitari.

    Se nella percezione dei cittadini italiani la politica europea si associasse con delle politiche che abbiano questi effetti lo scetticismo o l’ostilità verso la UE aumenterebbero a dismisura. E se il Pd appoggiasse senza distinguo questa linea la sua base elettorale si restringerebbe ulteriormente.

    Ritengo quindi che occorra battersi per escludere un massimo di spese di investimento dal calcolo del deficit. Non vi é alcuna ragione per porre dei limiti ad un indebitamente per investimenti che abbiano una redditività superiore al tasso di interesse pagato per finanziarli . L’effetto sulla riduzione del debito a lungo termine avrebbe luogo in ogni caso attraverso un aumento de denominatore ( il PIL)

     Quindi fa bene l’italia a chiedere di escludere dal calcolo del deficit le spese per  gli investimenti inclusi nel PNRR e nei piani finanziati dai fondi strutturali e di coesioni o di chiedere l’esclusione  delle spese per  investimenti finalizzati a produrre beni pubblici (malgrado la difficoltà di definirli ). Una nuova austerità imposta dall’UE sarebbe deleteria per l’Italia e per l’UE.

    Credo che sarebbe   un errore per il PD rinchiudersi nei limiti della logica tecnocratica della proposta della Commissione, pur apprezzando lo sforzo fattp, ma a mio parere ancora insufficiente, verso una maggiore flessibilità. L’intervento di Draghi va in questa direzione:  occorre sollevare il problema politico della perennità della costruzione europea.

    Un’ultima osservazione. La posizione contrattuale dell’Italia è fortemente indebolita dalla sua incapacità di realizzare gli investimenti previsti nel PNRR.  Un presupposto per negoziare nuove regole e la capacità di realizzare investimenti economicamente produttivi. Altrimenti la frase di Jeroen Dijsselbloem, presidente dell’Eurigroup durante la crisi greca,  sui paesi   che spendono I soldi in donne e drinks e poi chiedono aiuto sarebbe di nuovo sulla tavola.

    Anche su questo punto il PD dovrebbe sollevare la voce, mettendo in luce le debolezze e le inadempienze  del governo Meloni.

    • Credo che quanto Marco propone sulla base della posizione già assunta da molti altri in Italia sia da catalogare tra i desideri che purtroppo hanno poca possibilità di avverarsi. Vi sono più ragioni che spiegano a mio parere il perché.

      Innanzitutto il mercato non fa distinzione tra debito che nasce da investimenti o da spese correnti della mano pubblica. Nel momento in cui la capacità di un paese di fare fronte al debito contratto viene messa in dubbio le cose si mettono male indipendentemente dalle cause. Né la previsione di un ritorno economico su investimenti – soprattutto se pubblici e quindi con un orizzonte temporale lungo – può modificare tale reazione nel momento in cui si avvia.

      Un’altra ragione ha a che fare con la percezione relativamente alla credibilità del nostro paese. L’Unione si è rallegrata del fatto che Meloni e Giorgetti non si siano messi a fare i “Salvini” come si sarebbe potuto temere – ma vi è una serie di attese disattese in una lunga storia che ci condanna in una posizione difficile ove l’influenza di persone particolarmente stimate come Draghi o altri tecnici come i Padoa Schioppa non possono che rappresentare una pausa nell’ambito di un’evoluzione in linea di principio negativa. L’incapacità del paese sempre più palese di utilizzare appieno le somme del PNRR funziona qui come una pietra tombale.

      La terza ragione è rappresentata da una gang di fatti brutali che pesano come un sasso al collo del nostro paese.  A parte considerazioni divenute ahimé da lunga pezza parte di una litania ben conosciuta – come l’incapacità dell’economia di crescere, la bassa dinamica della produttività o l’alto indebitamento dello stato – si aggiungono spie che mettono in evidenza la situazione precaria. Ne cito qui due:

      Maggiore difficoltà del deficit a rientrare rispetto agli altri paesi europei

      Deficit di bilancio in percentuale del PIL:

                                 2019                  2020                  2021                  2022

      Italia                  -1,5%                   -9,7%               -9,0%                 -8,0%
      Francia               -3,1%                   -9,0%               -6,5%                 -4,7%
      Germania             1,5%                   -4,3%               -3,7%                 -2,6%
      Spagna               -3,1%                 -10,1%               -6,9%                 -4,8%
      Eurozona           -0,6%                   -7,1%               -5,3%                 -3,6%
      Danimarca           4,1%                   -2,8%                 0,0%                  3,3%
      EU                      -0,5%                   -6,7%               -4,8%                 -3,4%
      (fonte: Destatis)

      Acquisti netti cumulati del debito pubblico italiano per tipo di investitore da dicembre 2014 - €bn
      (tratto da: S. Arslanalp, B. Eichengreen: “Living with High Public Debt”, IMF, agosto 2023)

      12220423659?profile=RESIZE_930xÈ da ricordare che alla fine del 2022 i debiti della Banca d’Italia verso la BCE e altre banche centrali dell’area euro ammontavano a ben circa il 46% del totale del suo stato patrimoniale (fine 2021: 38%).

      Ciò mostra l’ambivalenza della situazione italiana ove, da una parte, si partecipa in Europa a sostenere la posizione debitoria del paese in considerazione del suo peso ma, dall’altra, l’insofferenza minaccia di manifestarsi in ogni momento per l’insufficienza e l’inefficacia dell’azione di governo.

      In realtà la lezione tenuta recentemente da Draghi negli Stati Uniti deve essere vista come un intervento diplomatico in cui le cose vengono dette in modo indiretto. Il richiamo alla necessità dei paesi europei di lavorare in un ambito collettivo al di sopra di quello nazionale non è altro che l’ennesima constatazione che l’Unione è tuttora priva, malgrado piani di resilienza, di un quadro comune per la politica fiscale comune con un proprio budget e fonti di finanziamento adeguate oltre agli attuali contributi dagli stati membri.

      Scomodando di nuovo Barry Eichengreen (“Golden Fetters”) il destino dell’euro è tuttora incerto a causa del mancato completamento dei passi ancora incompiuti, tra cui quello fondamentale di una politica fiscale comune. La fine del sistema del golden standard tra le due guerre è una dimostrazione dell’impossibilità nel lungo termine di mantenere un sistema rigido di cambi – nel caso dell’euro: nella camicia di una moneta unica – che obbliga a scaricare sulla politica fiscale di ogni singolo paese tutte le asimmetrie obbligando a misure deflazionistiche impopolari.

      L’Europa dell’euro è obbligata a fare questo passaggio. Gli scomputi di investimenti sono un diversivo che non risolve la partita anche quando possono rappresentare una maggiora flessibilità del sistema. È bene ricordare a questo proposito che la stessa Germania conosce il tema della solidarietà tra gli stati federali e le interminabili discussioni che ne seguono. Tre stati, ad esempio, hanno ricevuto trasferimenti da altri e dall’amministrazione federale più del 4% del proprio PIL e quello di Berlino il 3% (€ 5,3 mrd) nel 2022. Inoltre gli stati federali, in una struttura differente da quella degli USA, possono mostrare deficit anche consistenti (2010: € 20 mrd, 2020: € 31 mrd).   

  •  

    UN "PNRR PER IL DEBITO"

    Per capire la portata innovativa della proposta della Commissione sul nuovo Patto di Stabilita' e Crescita, e per farlo intendere precisamente ad orecchie abituate al dibattito italiano, e' utile segnalare un'espressione con la quale, giornalisticamente, la proposta di revisione del Patto fu descritta al suo primo apparire.

    Si disse infatti che la Commissione aveva varcato un Rubicone passando da un sistema tutto incentrato su soglie e parametri uguali per tutti, ad un sistema che assomigliava molto, per logica ed approccio, al PNRR. Per quanto riguarda il parametro del debito pubblico, ad esempio, si parlo' non senza ragione di una sorta di "PNRR DEL DEBITO", ossia non di parametri quantitativi da ottemperare e basta ma di un accordo con lo Stato Membro per un PERCORSO di riduzione del debito che partisse si' da un'analisi della Commissione sulla sua sostenibilita', ma che si sostanziasse poi in un vero e proprio "accordo per un percorso", Stato Membro per Stato Membro, dove i target quantitativi non sarebbero meno importanti del modo concordato con il quale ci si arriva, e questo modo (qui sta il nocciolo della novita'!) avrebbe ricompreso anche un percorso di riforme ed investimenti che accompagnino e rendano sostenibile (non solo credibile!) quella riduzione qunatitativa. 

    Insomma, dire che la proposta della Commissione apre le porte ad un "PNRR per il debito", parametro notoriamente piu problematico e ostico per l'Italia, significa dire che l'Italia avrebbe l'opportunita di disegnare un percorso di rientro non solo anticiclico (per non aggiungere recessione a recessione) ma anche e soprattutto risolutore dei problemi strutturali che quel debito alimentano. In primis, il percorso di riforme ed investimenti associato alla dimunizone del debito aggredirebbe per la prima volta in maniera consustanziale alla gestione del Patto le cause findamentali del debito insostenibile, ossia la bassa crecita del denomninatore del rapporto debito/PIL. 

    La carica innovativa di tutto cio' non va sottostimata dall'Italia, perche' volgerebbe in positivo quel vincolo esterno che fino ad ora ha comportato draconiani aggiustamenti prociciclici di provenineza bruxellese e che in nulla aggredivano le cause prime del debito. Insomma, se come pare il negoziato non atterrera' molto lontano dalla proposta della Commissione non c'e' da lagnarsene toppo, perche' entreremmo in un sistema di corresponsabilita' nella definizione di un percorso (stile PNRR) agganciandolo pero' anche ad una "promessa europea" (sanzionabile) che mantine anche le caratteristiche di VINCOLO al quale i Governi si dovranno attenere resistendo a tentazioni populiste di spesa e scotamenti sganciati dal percorso di riforme ed investmenti.   

    Ce n'e' abbastanza per allinearsi alla proposta della Commissione anche laddove le tradizionali richieste italiane, pur giuste e da giocarsi sul piatto del negoziato, non dovessere trovare soddisfazione. Il riferimento qui e' alla golden rule di scorporo dal computo del deficit, ad esempio, di categorie di invesitmenti pregiudialmente definibili come buoni, perche' mero cofinanziamento dei fondi di coesione, oppure concorso nazionale al finanziamento dei progetti del PNRR, oppure ancora finanziamento di progetti precedentemente definiti come beni pubblici europei (difesa, transizione ecologica etc).

    Cose con una logica ed una giusta pretesa, ma alle quali un Paese come l'Italia non ha interesse a sacrificare l'intero accordo finale, arrischiando di ricadere, nel 2024, nelle vecchie regole procicliche e, quelle si', insensatamente draconiane.  

    Alessandro Giordani

     

    • Alessandro,

      grazie per questo contributo.    Vorrei sottolinearne un punto.   Nel terzo paragrafo hai scritto "il percorso di riforme ed investimenti associato alla diminuzione del debito aggredirebbe per la prima volta in maniera consustanziale alla gestione del Patto le cause fondamentali del debito insostenibile, ossia la bassa crescita del denominatore del rapporto debito/PIL" (il grassetto è mio).

      Questa frase è giustissima.   Ci ricorda che senza una crescita più forte di quella degli ultimi decenni il problema della sostenibilità del nostro debito pubblico non può essere risolto.    Per riuscire almeno a gestire il nostro debito pubblico (con gli altissimi interessi che comporta) abbiamo bisogno di avere almeno un tasso di crescita come quello che negli ultimi tre decenni ha avuto il resto dell'eurozona.

      Il PD deve mettere tra le sue priorità il rafforzamento del tasso di crescita del nostro paese (che è anche la condizione sine qua non per un aumento dei posti di lavoro e un miglioramento dei redditi).

  • Aggiungo una mia nota metodologica su alcuni aspetti del dibattito sulle regole di bilancio.

    Nota sul Patto di Stabilità

     Questa nota dovrebbe aiutare soprattutto chi ha meno familiarità con le regole di bilancio europee.

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Fabio Colasanti ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Lorenzo e Alberto,
grazie per i vostri contributi che apprezzo molto.   Spero ci siano altre…"
25 Apr
Lorenzo Frattali ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Grazie del contributo, purtroppo non avere una base saldamente scientifica, ma ideologica, della…"
25 Apr
Alberto Rotondi ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Cara Annamaria,
tiringrazio e sono disponibile a collaborare a quest progetto.    Allego anche un…"
25 Apr
Lorenzo Frattali ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Grazie per la tua risposta, il nostro Circolo è disponibile a collaborare volentieri, perchè ci…"
18 Apr
Annamaria Abbafati ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Cari Lorenzo e Alberto, mi scuso in primis per il ritardo nella risposta. Sono settimane…"
18 Apr
Lorenzo Frattali ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Ti ringrazio e condivido le tue conclusioni, sebbene a suo tempo abbia votato no al referendum sul…"
17 Apr
Mauro Casalboni ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Energia
"Partecipo per la prima volta a questa discussione tematica sul’energia.
Innanzitutto voglio…"
16 Apr
Lorenzo Frattali ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Russia - Ucraina
"La proposta "austriaca" penso che consisterebbe nel lasciare sotto la Russia i territori occupati…"
12 Apr
Marco Orani ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Russia - Ucraina
"Purtroppo penso che la soluzione "austriaca " sia oramai un "wishful thinking", un desiderio…"
11 Apr
Lorenzo Frattali ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Russia - Ucraina
"Grazie  Fabio per la tua rapida e documentata risposta. Personalmente condivido pienamente la…"
11 Apr
Fabio Colasanti ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Russia - Ucraina
"Lorenzo,
ho appena postato l'editoriale del 4 marzo scorso del Movimento europeo.
In che misura ti…"
10 Apr
Fabio Colasanti ha risposto alla discussione di Fabio Colasanti Russia - Ucraina
"L'editoriale del Movimento europeo del 4 marzo presenta una buona analisi della situazione e indica…"
10 Apr
Altro…