Pagina: “Politica europea estera e di difesa”

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Politica estera e difesa

 La politica estera e la difesa sono due campi molto vicini alla sovranità nazionale. Storicamente gli stati membri sono stati molto esitanti nel condividere la loro sovranità in questo campo.  Nell'agosto del 1954 il Parlamento francese bocciò il progetto di Comunità europea per la Difesa (CED) indicando che il paese non era ancora disposto a fare passi avanti decisi verso una piena integrazione politica.   L’approccio “funzionalista” di Jean Monnet (integrazione economica nella speranza che questa gettasse le basi per progressi sostanziali verso l’integrazione politica) fu quindi alla base dei Trattati di Roma del 1957. 

Da allora si sono fatti molti progressi, ma si è comunque ancora molto lontani da una condivisione di sovranità. La politica estera e di sicurezza comune (PESC) dell'Unione europea è stata istituita nel 1993 e da allora è stata rafforzata dai successivi trattati. Il Trattato di Amsterdam del 1999 ha poi creato la figura dell’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza ed il Trattato di Lisbona ne ha poi esteso le competenze. Ma questa persona ha essenzialmente un ruolo di coordinamento; le decisioni sono sempre prese dagli stati membri, quasi sempre all’unanimità. 

Nell’esecuzione delle sue funzioni, l’Alto Rappresentante si avvale del Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE), il servizio diplomatico dell’Unione. Il SEAE lavora in collaborazione con i servizi diplomatici dei paesi dell’Unione.  È composto da funzionari e agenti dell’Unione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali. 

Anche il Comitato politico e di sicurezza (CPS), che comprende gli ambasciatori dei 27 Stati membri, agisce sotto la responsabilità dell’AR. Controlla la situazione internazionale nei settori che rientrano nella PESC e svolge un ruolo chiave nella definizione e nel monitoraggio della risposta dell’UE a una crisi. 

Possiamo aggiungere inoltre che l'UE possiede una politica estera non convenzionale, che si basa sugli strumenti che possiede. Un esempio perfetto è rappresentato dalla politica commerciale dell'UE che influenza le relazioni con paesi terzi. Anche le politiche di vicinato, di allargamento e di diplomazia parlamentare sono degli esempi plastici di una politica estera dell'UE non convenzionale, che mira a transformare le relazioni tra gli stati rendendole pacifiche e basate sul diritto.  

Il rischio di un distacco degli Stati Uniti dagli affari europei ai tempi della presidenza Trump, la maggiore assertività della Cina e l’invasione dell’Ucraina hanno creato l’esigenza di un ruolo più attivo dell’Unione europea nella politica estera e stanno spingendola verso una maggiore collaborazione, almeno nella produzioni di armi. 

Ci sarebbe tanto da fare in questo campo, ma è necessario non farsi illusioni sulla possibilità di fare passi avanti sostanziali a breve termine. C’è tanto di cui discutere.

Difesa comune

(il riquadro dove inserire i nuovi commenti si trova subito dopo il testo introduttivo)

In questo campo c'è stato uno sviluppo recente molto importante.

"Proporre un programma europeo di investimenti per la difesa che servirà da punto di riferimento per futuri progetti congiunti per la sicurezza. E’ quanto chiedono alla Commissione europea i leader dei 27 Stati membri Ue nel capitolo delle conclusioni del Consiglio europeo adottate nella notte tra giovedì e venerdì relative alla sicurezza e alla difesa.

I capi di stato e governo prendono atto dei passi avanti compiuti dall’Ue in materia di difesa. Dal fresco accordo raggiunto mercoledì sull’Edirpa, ovvero lo strumento di finanziamento da 300 milioni di euro dell’industria europea della difesa attraverso gli appalti congiunti, all’esortazione ai co-legislatori europei – Parlamento e Consiglio – a chiudere in tempi rapidi un accordo sull’Atto a sostegno della produzione di munizioni (ASAP), il piano presentato dallo scorso 3 maggio per arrivare a produrre almeno un milione di munizioni all’anno ‘Made in Europe’."

Leggere l'articolo su eunews.it

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Risposte

  • https://euractiv.it/section/mondo/news/la-difesa-ue-diventa-uno-dei...

    La difesa UE diventa uno dei temi al centro del dibattito politico in vista delle elezioni europee
  • Trump minaccia l’Europa. Cosa aspettano gli europei a creare ...

    Trump minaccia l’Europa. Cosa aspettano gli europei a creare una difesa comune?
  • A che punto è la difesa europea ?

    Francesca Basso e Viviana Mazza

     La guerra in Ucraina, la crisi in Medio Oriente ma anche il possibile ritorno di Donald Trump sulla scena internazionale, hanno riportato d’attualità le riflessioni sul futuro di una difesa europea indipendente dagli Stati Uniti. Ad accendere le polveri ci ha pensato agli inizi di gennaio il commissario Ue all’Industria Thierry Breton, che ha riferito una conversazione del 2020 durante un incontro a Davos tra la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen e Donald Trump, all’epoca alla guida degli Stati Uniti: «Dovete capire che, se l’Europa è sotto attacco, non verremo mai in vostro aiuto — ha detto Trump secondo Breton —. E comunque la Nato è morta, tutti la lasceremo, tutti abbandoneremo la Nato». Il presidente Usa avrebbe aggiunto: «Tra l’altro voi mi dovete 400 miliardi di dollari, perché non avete pagato, voi tedeschi, quello che dovevate pagare per la difesa». 

    Le parole riferite da Breton non stupiscono perché durante il suo mandato presidenziale Trump si è scontrato più volte con gli europei su commercio e difesa, e più volte ha minacciato di lasciare la Nato. Adesso il sito della sua campagna elettorale afferma tra gli obiettivi di un nuovo mandato quello di «finire il processo iniziato sotto la mia amministrazione di rivalutare in modo fondamentale il proposito e la missione della Nato», una frase criptica su cui la sua squadra rifiuta di dare indicazioni più concrete. Ma anche la promessa di porre «fine alla guerra in Ucraina nel giro di 24 ore» non può non allarmare le capitali europee, ricordando la posta in gioco nelle elezioni presidenziali americane del prossimo novembre.

    Quei commenti «ci diedero la sveglia — ha detto Breton — e ora potrebbe ritornare». Ha anche aggiunto che «ora più che mai sappiamo che siamo soli» e di fronte a uno scenario del genere «non abbiamo altra scelta se non quella di aumentare drasticamente» gli investimenti nella difesa «per essere pronti per qualunque cosa accada».

    L’uscita di Breton non è casuale. In quell’occasione — un evento al Parlamento Ue dei liberali di Renew Europe il 9 gennaio scorso —  il commissario francese ha lanciato la sua idea di un fondo per la difesa da 100 miliardi di euro. Si tratta di una cifra enorme e non ha spiegato in quella circostanza come sarà finanziato il fondo. In un incontro poi ristretto con i giornalisti, a cui abbiamo partecipato, ha spiegato che «è un’ambizione, una visione» e ha ammesso che l’idea è ancora in fase embrionale e che solleva molti interrogativi, soprattutto per quanto riguarda il suo finanziamento, e ha fatto capire che sarà la prossima Commissione Ue a dover affrontare il tema. Ma è ormai evidente che l’Unione europea deve fare un passo avanti. È dal 2014 che la Nato chiede ai suoi membri di dedicare il 2% del Pil alle spese per la difesa. E il segretario generale Jens Stoltenberg ha anche sottolineato che «è ovvio che rispetto al 2% indicato nel 2014 ora bisogna fare di più per rispondere alle sfide poste alla nostra sicurezza».

    Agli inizi di dicembre è stata Kaja Kallas, premier di un Paese «frugale» come l’Estonia, a parlare della necessità di aumentare gli investimenti nella difesa e a ipotizzare addirittura eurobond per finanziare la guerra contro l’aggressione illegale dell’Ucraina da parte della Russia. Più di recente è stato il presidente francese Emmanuel Macron a portare il tema all’attenzione della platea del World Economic Forum di Davos proprio partendo dalle parole di Kallas e lanciando un appello all’Unione europea affinché faccia «maggiori investimenti», con una strategia «molto più forte» per i prossimi anni, «osando gli eurobond» su alcune «grandi priorità» strategiche comuni dell’Ue. 

    Più a breve la Commissione Ue presenterà il 27 febbraio il nuovo programma europeo di investimenti nella difesa da 3 miliardi per stimolare la produzione dell’industria militare e la collaborazione tra Paesi, aziende e altre parti interessate. Lo sforzo è reso necessario dopo che un anno fa l’Ue aveva promesso di consegnare all’Ucraina un milione di proiettili di artiglieria entro marzo 2024, ma non sarà in grado di farlo a causa dello stato della produzione dell’industria della difesa europea e degli ostacoli burocratici. Breton è però ottimista e sostiene che sia ancora possibile raggiungere l’obiettivo entro la primavera. 

    Il caso degli aiuti all’Ucraina mostra come la difesa Ue sia ancora parcellizzata tra gli Stati membri anche se il tentativo di armonizzare le politiche industriali europee è un passo avanti molto importante perché avrà un impatto sulla definizione dei rapporti di forza futuri. Per il resto però la difesa europea è ferma alla «bussola strategica» adottata a marzo 2022 — meno di un mese dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia — e nata sulla scia dell’addio improvviso degli Stati Uniti all’Afghanistan, senza nemmeno consultare gli alleati europei che si trovarono spiazzati.  Si tratta di una road map con un orizzonte temporale al 2030, che procede in quattro direzioni: azione, sicurezza, investimenti e partner. Tra le azioni previste c’è la creazione di nuova forza di intervento rapido fino a 5 mila unità da dispiegare in vari scenari, più adatta però alla gestione delle crisi che alla guerra convenzionale come quella combattuta in Ucraina. 

    Il problema per l’Ue è sempre lo stesso: la lentezza con cui prende le decisioni in politica estera e in materia di difesa perché è necessaria l’unanimità tra i 27 Stati membri. L’intervento Ue nel Mar Rosso ne è una prova. La missione navale militare europea Aspides, che avrà il compito di difendere le navi mercantili dagli attacchi Houthi e contemplerà l’uso della forza, se necessario, verrà lanciata solo il 19 febbraio prossimo. I ministri degli Esteri dei Ventisette ieri hanno dato solo un primo via libera politico, dopo che il 16 gennaio era emerso un consenso tra gli ambasciatori Ue al piano proposto dal capo della diplomazia Ue Josep Borrell. Dunque ci vorrà circa un mese perché la missione Aspides sia operativa mentre lo è dal 18 dicembre scorso quella a guida statunitense, Prosperity Guardian, che vede anche la partecipazione della Gran Bretagna e di alcuni Paesi europei (Danimarca, Grecia, Olanda e Norvegia).

    Non va tuttavia sottovalutato lo sforzo Ue, come ha spiegato il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «Aspides non è solo una missione di polizia internazionale, è un importantissimo segnale politico della Ue: siamo sulla direzione della difesa comune europea, che è il vero tassello necessario per la politica estera comune».

    Invece l’esercito europeo è rimasto finora sempre sulla carta perché serve federalizzare una parte della difesa e questo è un punto di arrivo che ancora non si vede. Nemmeno la guerra scatenata dalla Russia in Ucraina ha dato una spinta concreta in questa direzione. 

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