Pagina: “Lotta al cambiamento climatico”

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   Protezione dell'ambiente 

   Energia

   Sviluppo sostenibile

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Lotta al cambiamento climatico

In questa pagina ospiteremo temi legati alla transizione ecologica, come la decarbonizzazione del settore energetico, la protezione dell’ambiente, e lo sviluppo sostenibile.   Altre discussioni potranno essere aperte per rispondere a nuovi sviluppi o agli interessi dei partecipanti. 

Le attività umane, principalmente attraverso l’emissione di gas serra, hanno inequivocabilmente causato il riscaldamento globale. Rispetto al periodo 1850-1900, si è registrato un aumento della temperatura superficiale globale di 1.1°C nel periodo 2011-2020. Il riscaldamento causato dall’attività umana sta già avendo conseguenze importanti, come l’innalzamento del livello degli oceani, la perdita di biodiversità e una ridotta sicurezza alimentare ed idrica. Per di più, tali effetti gravano maggiormente sulle comunità più vulnerabili e che storicamente hanno continuato in minor misura all’emissione di gas serra. 

Durante la ventunesima riunione della Conferenza delle parti (COP21) della Convenzione sui cambiamenti climatici, tenutasi a Parigi nel 2015, tutti gli stati membri dell’UE hanno adottato l’Accordo di Parigi. L’accordo stabilisce come obiettivo legalmente vincolante il mantenimento dell’’aumento della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2°C in più rispetto ai livelli pre-industriali, pur specificando che idealmente bisognerebbe mirare a non superare il 1.5°C in più rispetto ai livelli pre-industriali. Tuttavia, negli ultimi anni si è insistito sempre più sulla necessità di limitare il riscaldamento globale a 1.5°C entro la fine del secolo, in risposta alle raccomandazioni del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’ONU (IPCC), il forum scientifico adibito allo studio del cambiamento climatico. 

L’Unione Europea ha deciso di perseguire questo obiettivo, lanciando nel 2019 il Green Deal europeo, una strategia per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Con la Legge europea sul clima, del giugno 2021, questo obiettivo è stato reso vincolante. 

A luglio 2021, la Commissione ha adottato un pacchetto di proposte, il cosiddetto “Fit for 55”,  per trasformare le politiche dell'UE in materia di clima, energia, trasporti e fiscalità in modo da ridurre le emissioni nette di gas serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. La maggior parte di queste proposte è stato approvata dal Parlamento e dal Consiglio dell’UE o è nella fase finale delle negoziazioni. 

In risposta alla crisi energetica, ulteriormente aggravata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, la Commissione ha proposto il piano RePowerEU, che mira a mitigare gli effetti sul breve termine della crisi e, allo stesso tempo, ad accelerare la transizione energetica, con misure ancora più ambiziose di quelle proposte nel “Fit for 55”.

Inoltre, le ultime proposte in materia di transizione energetica si inseriscono nell’ambito del Piano industriale del Green Deal, la risposta europea all’Inflation Reduction Act (Legge sulla riduzione dell’inflazione) americano. L’obiettivo del Piano è di rafforzare la competitività dell'industria europea a zero emissioni nette e sostenere la rapida transizione verso la neutralità climatica. 

L’azione portata avanti dall’UE è senza precedenti su scala globale. Tuttavia, questi progressi avranno un impatto limitato senza uno sforzo globale per limitare le emissioni di gas serra entro la prima metà di questo secolo. L’ultimo report dell’IPCC mostra che, tenendo conto delle attuali politiche di decarbonizzazione, l’aumento delle temperature supererà molto probabilmente il 1.5°C entro la fine del secolo, rendendo molto più difficile rimanere entro i limiti dei 2°C.

Energia

(il riquadro dove inserire i nuovi commenti si trova subito dopo il testo introduttivo)

In questa discussione parleremo della transizione energetica, tenendo in considerazione sia le attuali proposte normative sia la possibilità di spostare il discorso verso concetti quali la sufficienza energetica e la riduzione della domanda, ancora presenti solo marginalmente nel panorama politico europeo. 

La transizione energetica è uno degli aspetti fondamentali della transizione ecologica, dal momento che il settore energetico è responsabile per circa due terzi di tutte le emissioni di gas serra derivanti dall’attività umana. Non solo, è essenziale decarbonizzare il settore energetico prima degli altri (non più tardi del 2035), così da poter completare la transizione verso un’Europa ad emissioni zero entro il 2050. 

La “transizione all’energia pulita", un concetto fondamentale nell’ambito del Green Deal europeo, va ben oltre la neutralità climatica, incorporando i concetti di giustizia sociale, sostenibilità e resilienza. Di conseguenza, al di là degli aspetti tecnici, la transizione implica elementi socio-economici e pertanto richiede un approccio interdisciplinare. 

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Risposte

    • Condivido le tue osservazione e trovo indispensabile che il PD elabori un Piano a lunga scadenza, e che poi lo diffonda a tutti i livelli, cosa possiamo proporre per collaborare all'elaborazione di un Piano , il problema è molto importante relativamente anche all'impatto economico sociale. Noi del Circolo PD Innovazione e Transizione energetica potremmo essere disponibili a dare un contributo, avevamo anche cercato di prendere contatto con la Corradi responsabile nazionale PD del settore ma senza risposta. Possiamo mettere su un gruppo a livello PD EU coinvolgendo altri esperti nazionali e non ?
      Cercherò poi di rispondere asd Alois sull'idrogeno
      Grazie, Lorenzo

    • Grazie Lorenzo

      Nel documento, mi sembra , non sono prese in considerazione, lo sviluppo di fonti energetiche  a partire dall' idrogeno , su cui convergono vari consensi non solo a livello nazionale,  come mai ? 

    • Aggiungo un documento pubblicato su Astrolabio sui problemi relativi all'idrogeno

      Nelle politiche europee e mondiali di decarbonizzazione, l’idrogeno è emerso come un vettore energetico che potrebbe aiutare ad affrontare varie sfide energetiche, soprattutto nei settori "hard to abate" (industriale, aviazione e marittimo). La sua versatilità, la possibilità di produzione da fonti rinnovabili e la capacità di essere utilizzato in una vasta gamma di applicazioni (dal trasporto, all’industria, al sistema elettrico per integrare l’intermittenza delle energie rinnovabili, essendo una delle poche opzioni di immagazzinamento dell’energia) ne fanno un candidato attraente per ridurre le emissioni di gas serra.

      Attualmente l’idrogeno viene utilizzato soprattutto nei settori della raffinazione e della chimica ed è prodotto principalmente utilizzando combustibili fossili. L’economia dell’idrogeno, però, è in rapida espansione e sono in pieno sviluppo nuove tecnologie a basso impatto per la produzione e per il suo utilizzo in altri settori.

      Secondi i dati del “Global Hydrogen Review 2023” dell’International Energy Agency (IEA), nel 2022 la domanda di idrogeno ha raggiunto il massimo storico, pur rimanendo concentrata nelle applicazioni tradizionali (meno dello 0,1% nelle nuove applicazioni dell’industria pesante, nei trasporti o nella produzione di energia), e l'uso globale di idrogeno ha raggiunto 95 Mt (milioni di tonnellate), con una forte crescita in tutte le principali regioni consumatrici ad eccezione dell’Europa, dove negli ultimi anni è rallentata l’attività industriale.

      Nonostante il potenziale di riduzione delle emissioni di gas serra che l’utilizzo di idrogeno potrebbe comportare in sostituzione dei combustibili fossili, occorre tener conto degli impatti derivanti dalle emissioni dirette di idrogeno nella sua filiera.

      La molecola dell’idrogeno (H2) è molto piccola, ha un basso peso molecolare, un'elevata diffusività e una bassa viscosità, quindi è molto difficile da contenere. Le emissioni di idrogeno hanno ricevuto fino a tempi recenti relativamente poca attenzione, in quanto l’H2 non è un inquinante o un gas serra diretto. Tuttavia, l’aumento dell’idrogeno in atmosfera causa dei cambiamenti nella concentrazione di altri gas serra provocando quindi, seppur indirettamente, effetti di riscaldamento.

      Le emissioni di idrogeno possono avvenire in ogni momento lungo la filiera, dalla produzione all’uso finale. Il modo in cui viene prodotto però, potrebbe incidere anche sull’emissione di gas serra quali anidride carbonica (CO2) e metano (CH4).

       

      I colori dell’idrogeno

      Per caratterizzare le diverse tipologie di idrogeno in base al processo di produzione e alle fonti energetiche utilizzate nei processi è spesso utilizzata una rappresentazione a colori.

      247_basili_1.jpgCheng W, Lee S. How Green Are the National Hydrogen Strategies?

      Come già detto, ad oggi la gran parte dell’idrogeno è prodotto da combustibili fossili, attraverso i processi di steam reforming del metano (un processo che utilizza il vapore per separare le molecole di H2 dal gas naturale) o di gassificazione del carbone. Si parla in questi casi rispettivamente di idrogeno grigio e idrogeno marrone o nero. Questi processi sono i meno avanzati e generano emissioni di anidride carbonica, metano e monossido di carbonio, ma sono attualmente i più economici.

      Quando ai processi di reforming o di gassificazione è associata la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS) emessa in fase di produzione, si ottiene il cosiddetto idrogeno blu. Con il CCS si riducono le emissioni di CO2, ma possono comunque verificarsi fughe di metano durante la produzione e il trasporto.

      Tramite elettrolisi dell’acqua (la scissione della molecola di acqua, H2O, in idrogeno e ossigeno gassosi) utilizzando energie rinnovabili si ottiene l’idrogeno verde. Se l’energia per l’elettrolisi deriva dalla rete, ossia da fonti miste, comprese le fossili, si parla in genere di idrogeno giallo, mentre se deriva da energia nucleare l’idrogeno prodotto è definito rosa o viola o rosso. L’energia necessaria per rompere i legami molecolari dell’acqua è molto elevata; quindi, questo processo risulta veramente “neutro” in termini di gas serra solo nel caso in cui si utilizzino fonti energetiche a basso impatto, in caso contrario potrebbe avere impatti anche maggiori di altri processi. Senza considerare le emissioni legate alla produzione di attrezzature per l’elettrolisi e dei materiali necessari. Il processo di elettrolisi è, ad oggi, più costoso dell’idrogeno grigio o blu.

      L’idrogeno turchese è prodotto tramite pirolisi del metano, un processo che prevede di scindere termicamente i legami chimici del metano riscaldando il gas in assenza di ossigeno, ottenendo idrogeno e carbonio solido che potrebbe essere utilizzato come materia prima. Il processo non produce emissioni dirette di CO2, ma prevede comunque l’utilizzo di una materia prima fossile, per questo è considerato una via di mezzo tra l’idrogeno blu e l’idrogeno verde.

       

      Le emissioni dirette di idrogeno nella filiera

      Anche quando la produzione dell’idrogeno non comporta emissioni di CO2 e CH4, la molecola H2 è soggetta a perdite, lungo tutta la filiera, dalla produzione, al trasporto fino allo stoccaggio e agli utilizzi finali.

      Le emissioni di idrogeno lungo la filiera possono essere suddivise in emissioni intenzionali e non intenzionali, oppure in emissioni operative e fuggitive. Le emissioni intenzionali comprendono il venting e il purging operativi, le emissioni involontarie fuggitive includono perdite dalle tubazioni, dalle apparecchiature e dallo stoccaggio. Le emissioni involontarie operative derivano invece da idrogeno residuo nei flussi di scarico e dalla naturale evaporazione dell'H2 liquefatto.

      247_basili_2_big.jpgEsquivel-Elizondo, Sofia, et al. “Wide range in estimates of hydrogen emissions from infrastructure”.

      Diversi studi negli ultimi due decenni hanno tentato di stimare i tassi di emissione di idrogeno per ogni passaggio della catena del valore. In mancanza di dati empirici, le stime dipendono fortemente da ipotesi spesso basate sui tassi di perdita del gas naturale, da calcoli tramite proxy, da esperimenti di laboratorio, da modelli o da simulazioni su base teorica.

      Questi studi suggeriscono tassi di emissione potenziali con una forbice molto ampia, dallo 0,3% al 20%, per diversi componenti della catena del valore. Studi più recenti hanno ridotto il divario, ma rimane una forte incertezza sulla quantità di emissioni totali della filiera, anche perché in futuro dipenderà fortemente dalla dimensione che assumerà l’economia dell’idrogeno, dalla tecnologia utilizzata per produzione, trasporto, stoccaggio nonché dall’utilizzo finale.

       

      Gli impatti delle emissioni dirette di idrogeno

      Quando viene emesso nell'atmosfera, l'idrogeno ha due destini principali: circa il 70% - 80% viene “assorbito” dal suolo (tramite assorbimento batterico), mentre il restante 20% - 30% reagisce nell’atmosfera con il radicale ossidrile (OH), secondo la reazione che si vede in figura. Le perturbazioni causate dalle emissioni di idrogeno sulla chimica troposferica creano una complessa catena di eventi che altera la presenza di gas ad effetto serra, come metano, ozono e aerosol. L’idrogeno è quindi un gas serra indiretto, in quanto l’aumento della sua concentrazione nell’atmosfera porta a una riduzione dell'OH troposferico, l'ossidante più importante e potente nell'atmosfera, che a sua volta influenza la durata e l'abbondanza di altri gas che hanno un impatto sul clima.

      I principali impatti climatici associati all'aumento dei livelli di idrogeno sono:

      • una vita atmosferica più lunga del metano,
      • una maggiore produzione di ozono troposferico (O3) e
      • un aumento della produzione di vapore acqueo stratosferico (H2O).

      247_basili_3_big.jpgOcko, Ilissa B., and Steven P. Hamburg. "Climate consequences of hydrogen emissions."

      Nonostante gli effetti delle emissioni di idrogeno siano conosciuti, è ancora difficile stimare l’entità complessiva dei loro impatti sul riscaldamento globale e, quindi, valutare l’efficacia dell’idrogeno come strumento per la decarbonizzazione. Il primo problema che si pone è la quantificazione delle emissioni effettive che avverranno lungo la value chain dell’idrogeno. Un’altra importante questione, affrontata in numerosi articoli dedicati alle emissioni di idrogeno, è il modo in cui vengono calcolati e riportati i suoi impatti sul riscaldamento globale.

      Solitamente, quando si parla di gas ad effetto serra, si utilizza il parametro del potenziale di riscaldamento globale (GWP) con orizzonti temporali di 20, di 100 anni e di 500 anni. Il GWP calcola l’effetto di riscaldamento relativo di un impulso di emissioni di un gas serra rispetto a un impulso uguale in massa di CO2 su un intervallo di tempo. L’utilizzo di questo parametro, sebbene sia ampliamente utilizzato e costituisca la metrica ufficiale delle emissioni per la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), è spesso ritenuto critico a causa del suo approccio ad impulsi (si considera un impulso emissivo una tantum e non tassi di emissione costanti che sono considerati una rappresentazione più realistica delle emissioni dirette di un’economia dell’idrogeno) e di orizzonti temporali di 100 anni, in quanto è complicato confrontare gli effetti climatici tra forzanti climatiche i cui impatti sono di breve durata (come l’idrogeno e il metano) e l’anidride carbonica i cui impatti sono di lunga durata.

      Poiché l’idrogeno è un gas serra indiretto, per poter calcolare il suo GWP occorre tener conto di tutti i contributi provenienti dai cambiamenti nella concentrazione di metano, ozono troposferico e vapore acqueo stratosferico. Il GWP dell’idrogeno dipende dalla durata di vita dell'H2 nell'atmosfera, dalla durata di perturbazione dei gas serra (come CH4 e O3) e dai loro tassi di produzione effettivi per variazione unitaria di H2.

      Il potenziale di riscaldamento dell’idrogeno dipende fortemente dall’orizzonte temporale e (similmente al metano) può essere almeno 3 volte più potente nel breve termine che nel lungo termine rispetto all’anidride carbonica. Secondo i calcoli degli studi più recenti gli effetti del riscaldamento dell’idrogeno si manifestano nell’arco di un paio di decenni (Warwick et al., 2023), raggiungendo il GWP massimo circa 7 anni dopo l’impulso iniziale delle emissioni (Ocko et al.,2022), poiché la vita atmosferica del metano impiega alcuni anni ad aumentare in risposta alla minore disponibilità di OH dalla reazione con l'idrogeno.

      Per quanto riguarda il GWP a 100 anni dell’idrogeno, alcuni tra gli ultimi studi riportano un valore di circa 12 (12±6 per Warwick et al, 2023; 11,6±2,8 per Sand et al, 2023; 11±5 per Bertagni et al, 2022). Per avere un confronto, il GWP100 del metano più utilizzato nella rendicontazione statistica e nei documenti istituzionali internazionali è 28 (dal Quinto Rapporto di Valutazione dell'IPCC, 2014). Tutte le stime presentano comunque un elevato livello di incertezza correlata a diversi fattori.

       

      La misurazione delle emissioni di idrogeno

      Per poter valutare con un certo grado di precisione i tassi di emissione e gli impatti climatici del passaggio a un’economia dell’idrogeno, sono comunque necessari dati empirici sulle emissioni di H2 dalla produzione fino agli usi finali. Attualmente la quantificazione delle emissioni di idrogeno non è possibile se non tramite stime e modelli in mancanza di misurazioni dirette.

      Le tecnologie di rilevamento disponibili, avendo solo lo scopo di identificare perdite che possano comportare problemi di sicurezza a causa del comportamento infiammabile ed esplosivo del gas, rilevano idrogeno solo a livello di parti per milione (ppm, tradizionalmente l'intervallo di misurazione va da 1.000 a 10.000 ppm). Per poter quantificare piccoli livelli di perdite lungo l’intera value chain sarebbero necessari sensori selettivi, con un’elevata sensibilità, in grado di rilevare perdite di idrogeno fino al livello di parti per miliardo (ppb, 1 ppb=0,001 ppm) e a risposta rapida, da uno a pochi secondi.

      Recentemente, la Aerodyne Research, con il finanziamento del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, ha sviluppato un prototipo di analizzatore di idrogeno che ha raggiunto una grande precisione con un'elevata frequenza di misurazione, rilevando l'idrogeno con una sensibilità di 10 ppb in pochi secondi. Il prototipo è stato testato in collaborazione con i ricercatori dell'Environmental Defense Fund (EDF) e della Cornell University in una serie di esperimenti a rilascio controllato presso la Colorado State University. L’analizzatore ha rilevato con successo aumenti di parti per miliardo della concentrazione di idrogeno nell’aria causati da perdite graduali. Il prossimo passo sarà quello di installare l’analizzatore negli impianti di idrogeno esistenti come impianti di fertilizzanti, stazioni di rifornimento di idrogeno e altri siti industriali per misurarne le emissioni.

       

      Conclusioni

      Le emissioni di idrogeno derivanti dalla sua produzione, trasporto e utilizzo possono avere impatti significativi sulla chimica atmosferica e sul clima. In futuro, l'entità delle emissioni di H2 dipenderà dalla scala del settore che, visti gli investimenti in atto in tutto il mondo, potrebbe essere piuttosto importante. Le stime suggeriscono che la domanda di idrogeno potrebbe aumentare fino a dieci volte entro la metà del secolo.

      L’idrogeno blu e l’idrogeno verde, se gestiti correttamente, potrebbero portare reali benefici alla decarbonizzazione, ma questi dipendono dai tassi di emissione della filiera. Mitigare le emissioni di H2 derivanti dalle procedure operative sarà essenziale per massimizzare i benefici climatici dei sistemi a idrogeno. A tal fine sarà necessario sviluppare metodi e tecnologie per il monitoraggio e la misurazione delle emissioni della value chain dell’idrogeno.

      Misurare le emissioni dirette di idrogeno è fondamentale per permettere di migliorare i modelli chimico-climatici che aiutino a comprenderne gli effetti sull’atmosfera e sul riscaldamento climatico, per migliorare le valutazioni del ciclo di vita e permettere un miglior confronto tra i sistemi a idrogeno e altri combustibili e per identificare le principali fonti di emissione. Questo permetterà di implementare strategie di mitigazione e buone pratiche che riducano al minimo le perdite di idrogeno e i loro effetti.

       

      Fonti

      Global Hydrogen Review 2023, International Energy Agency (IEA)

      Cheng W, Lee S. How Green Are the National Hydrogen Strategies? Sustainability. 2022; 14(3):1930. https://doi.org/10.3390/su14031930

      Ocko, Ilissa B., and Steven P. Hamburg. "Climate consequences of hydrogen emissions." Atmospheric Chemistry and Physics 22.14 (2022): 9349-9368. https://doi.org/10.5194/acp-22-9349-2022

      Arrigoni, A. and Bravo Diaz, L., “Hydrogen emissions from a hydrogen economy and their potential global warming impact”, EUR 31188 EN, Publications Office of the European Union, Luxembourg, 2022, ISBN 978-92-76-55848-4, JRC130362. https://doi.org/10.2760/065589

      Bertagni, M.B., Pacala, S.W., Paulot, F. et al. “Risk of the hydrogen economy for atmospheric methane”. Nat Commun 13, 7706 (2022). https://doi.org/10.1038/s41467-022-35419-7

      Sand, M., Skeie, R.B., Sandstad, M. et al. “A multi-model assessment of the Global Warming Potential of hydrogen”. Commun Earth Environ 4, 203 (2023). https://doi.org/10.1038/s43247-023-00857-8

      Esquivel-Elizondo, Sofia, et al. “Wide range in estimates of hydrogen emissions from infrastructure”. Frontiers in Energy Research 11 (2023): 1207208. https://doi.org/10.3389/fenrg.2023.1207208

      Warwick, N. J., Archibald, A. T., Griffiths, P. T., Keeble, J., O'Connor, F. M., Pyle, J. A., & Shine, K. P. (2023). Atmospheric composition and climate impacts of a future hydrogen economy. Atmospheric Chemistry and Physics Discussions, 23, 13451–13467. https://doi.org/10.5194/acp-23-13451-2023

    • Caro Lorenzo,

      mille grazie per questo documento.   Il circolo PD di Bruxelles ha lanciato un gruppo di lavoro su questi temi e ho chiesto ad un paio di persone attive nel gruppo di reagire.

      Ho paura che il silenzio del PD sul vostro documento sia dovuto alla mancanza di risorse organizzative, ma anche alla vostra presa di posizione sul nucleare.   Io, personalmente, ho una posizione molto aperta.   Al momento vedo molti problemi - soprattutto di costi - per questa fonte di energia, ma se questi dovessero essere superati grazie agli sviluppi tecnologici non vedo motivi per non includerlo in una strategia energetica complessiva.   Ma so di avere una posizione minoritaria su questo punto.

      Stiamo a vedere che reazioni ci saranno da persone più esperte di me in questo campo.

    • Grazie mille per la pronta risposta, anch'io sono tendenzialmente molto dubbioso sul nucleare, ma facendo un pò di conti , tenuto conto anche dell'obiettivo di elettrificare la mobilità auto con conseguente necessità di crescita di produzione di elettricità e della discontinuità delle fonti eolico e FV e dei problemi di stoccaggio dell'energia  (problemi di energia e costi per la produzione di sistemi di immagazzinamento)   non so come si possa arrivare all'allineamento fra produzione e consumi elettrici  eliminando nel contempo tutte le fonti fossili. Se qualcuno dimostra che è possibile sono il primo ad essere contento

  • La International Energy Agency (IEA) pubblica una volta all’anno un rapporto sull’energia nel mondo: il World Energy Report.   L’edizione del 2023 ci fornisce dati per il 2022.

    Posto due grafici che mostrano la strada che c’è ancora da fare nella lotta contro il cambiamento climatico.   I dati della IEA mostrano che nel 2022 i combustibili fossili (petrolio, carbone e gas) hanno fornito l’80 per cento dell’energia prodotta a livello mondiale (per l’esattezza il 79.4 %).

    Le energie rinnovabili – incluso l’idroelettrico e la bioenergia - ne hanno assicurato poco meno del 12 per cento, mentre la “Biomassa tradizionale”) ne ha prodotto un altro 3.8 per cento.

    Ma il solare fotovoltaico e l’eolico, le due tecnologie sulle quali stiamo giustamente puntando, hanno prodotto solo il 2.4 per cento del totale dell’energia prodotta a livello mondiale.   Il contributo nel 2022 di queste due tecnologie è stato appena superiore alla metà del contributo del nucleare (il 4.6 per cento del totale).

    Nei prossimi anni queste percentuali cambieranno e in maniera sensibile.  Ma la strada da fare è veramente lunga.   Nel corso degli ultimi dodici anni (2022 su 2010) la quota del solare e dell’eolico è stata moltiplicata per sei: dallo 0.4 % del totale al 2.4 per cento.   Ma la quota dei combustibili fossili è scesa solo dallo 81.5 per cento del 2010 al 79.4 per cento del 2022.

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  • Riporto un altro grafico tratto dalla newsletter di Federico Fubini dell'11 dicembre 2023.   Uno sulla produzione di elettricità pro-capite. 

    Questo è il preoccupante commento di Fubini:

    "Si potrebbe pensare che le autorità di Pechino vogliano ridurre o almeno stabilizzare la loro dipendenza dal carbone. In effetti nel settembre del 2021 il presidente Xi Jinping aveva annunciato che, se non altro, la Cina non avrebbe più finanziato la costruzione di centrali a carbone all'estero.   Già, ma all'interno dei confini della Repubblica popolare?   Be', lì è un'altra storia.   Come spiega Michael Davidson su Foreign Affairs (il 2 novembre scorso) "i governi provinciali cinesi hanno autorizzato la costruzione di più capacità di produzione elettrica in centrali a carbone negli ultimi dodici mesi di quanto abbiano fatto negli ultimi sei anni".   E aggiunge: "Se questi impianti verranno costruiti e operati come d'abitudine, la Cina sfonderebbe di colpo tutti i paletti dei suoi impegni contro il cambio climatico, rendendo irraggiungibili gli obiettivi internazionali di limitazione del surriscaldamento globale".   Una delle ragioni è che il governo cinese ha dichiarato che l'uso del carbone inizierà a scendere dopo il 2025, ma non ha precisato da quale livello: dunque molte imprese e autorità provinciali cercano di aumentare il più possibile la capacità di produzione elettrica più sporca che ci sia, prima della data-limite.   Del resto, come si vede dai grafici sotto e sopra, il consumo e la produzione di energia per abitante in Cina superano ormai quelli dell'Italia o dell'Europa.   Ma con una popolazione di 1,4 miliardi di persone."

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  • Riporto un grafico sul costo dell'elettricità per usi industriali.   L'autore è Enrico Mariotti ed il grafico è stato pubblicato nella newsletter di FEderico Fubini (Corriere della Sera) del 11 dicembre 2023.

    Questo è il testo di Fubini:   

    "Un modo in cui i cinesi contengono i costi, in sostanza, è tenendo bassissima la bolletta dell'energia nelle loro fabbriche. Il grafico che vedete qui sopra è prodotto da Enrico Mariutti, un analista indipendente italiano sul settore energetico molto seguito anche da alcuni dei principali osservatori internazionali. Mariutti il costo dell'elettricità nell'industria in vari Paesi (in centesimi di dollaro per Kilowattora). L'Italia, come vedete, perde di gran lunga la competizione. Abbiamo costi un terzo più alti della Germania, più del doppio rispetto alla Francia e tre volte più alti di quelli della Spagna.  

    Il Qatar, l'Iraq, la Russia e l'Islanda invece vincono, producendo da sé l'energia primaria per le proprie centrali (geotermica per l'Islanda, da gas naturale per le altre). Ma la Cina viene subito dopo. Il segreto è semplice: circa il 60% dell'alimentazione di energia nella Repubblica popolare viene ancora da centrali a carbone, la più inquinante e nociva al clima fra le fonti fossili. Mariutti spiega che molti grandi gruppi cinesi riescono addirittura a portare il costo dell'elettricità in fabbrica a quattro cent a Kilowattora - il livello più basso del mondo, quindici volte meno dell'Italia - costruendo centrali a carbone interne ai loro stessi impianti."

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  • "Nonostante i timori di molti politici, il passaggio al libero mercato per la vendita di energia e gas non dovrebbe implicare un aumento delle bollette per i consumatori. La complessità del settore rende però necessaria una campagna d’informazione."

    Fine del mercato tutelato dell'energia: chi ci rimette e chi no - L...

     

    Fine del mercato tutelato dell’energia: chi ci rimette e chi no | G. Picchio e A. Sileo
    Nonostante i timori di molti politici, il passaggio al libero mercato per la vendita di energia e gas non dovrebbe implicare un aumento delle bollett…
  • Mi sembra interessante  allegare  il testo del documento di aggiornamento del PNIEC 2030 per dare la disposnibilità a tutti coloro che seguono questo Forum di leggerlo o consultarlo PNIEC_2023.pdf

    https://storage.ning.com/topology/rest/1.0/file/get/12159076476?profile=original
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Altri link utili

Agenzia internzionale dell’energia: https://www.iea.org/  

La NASA è una delle fonti più importanti e più affidabili per i dati sul riscaldamento del pianeta.

E questo è il link al sito dello Intergovernmental Panel on Climate Change

RepowerEU spiegato da Openpolis

Link al Manifesto della fondazione Solar Impulse "Europe 3.0 Modernise to Thrive"

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